di Elena Castiglione
La Ciociaria è una regione del Lazio Meridionale senza confini ben definiti. Oggi si identifica all’incirca con l’attuale provincia di Frosinone.
Il nome deriva dalle tipiche calzature del basso Lazio (diffuse anche in molte regioni dell’Italia centrale e meridionale ) dette “ciocie” fatte con cuoio e strighe di pelle di pecora a uso dei pastori e dei contadini. Nella città di Arpino, ancora oggi si producono artigianalmente questi tipici calzari, soprattutto per il “Gonfalone“, una manifestazione folkloristica che si svolge in agosto tra i quartieri e le contrade della città volta a valorizzare le tradizioni, gli usi e i costumi della terra ciociara.
La cucina tradizionale ciociara è legata strettamente all’attività che da sempre hanno svolto i suoi abitanti: pastorizia e agricoltura. Nonostante i cambiamenti dovuti alla vita moderna, la Ciociaria mantiene vivo il ricordo di quella vita contadina schietta e genuina, di quel duro lavoro e della vita povera che i suoi abitanti hanno vissuto con tenacia, ottimismo, inventiva, cordialità e ospitalità.
Il punto di forza della cucina ciociara è la semplicità e la genuinità dei suoi prodotti, dati dalle ottime risorse agricole del territorio: cereali, ortaggi, vigne, ulivi e dai prodotti della pastorizia.
Andiamo a conoscerla più nel dettaglio.
La pasta fatta a mano non manca mai sulla tavola ciociara. Famosa quella tagliata sottile: “fini fini” o “maccaruni”. E’ una delle ricette più antiche di tutto il Lazio meridionale, una tradizione che si tramanda di madre in figlia da secoli (le prime notizie di questa pasta risalgono al ‘500). E’ una sfoglia classica fatta di farina e uova la cui caratteristica risiede nel taglio sottile. Nella loro preparazione tradizionale si condiscono con il classico ragù ciociaro fatto con gli scarti del pollo (rigaje) insaporiti in un battuto di lardo o grasso di prosciutto, aglio e prezzemolo cotto lentamente nel pomodoro e serviti con pecorino locale. Nella stagione estiva semplicemente con un sughetto di pomodoro e basilico.
Ottimi anche gli strozzapreti (o cecapreti), “maccaruni” di farina di grano duro, uova e acqua conditi con i funghi porcini dei monti Ernici. Il loro nome risale al lontano passato quando le continue restrizioni imposte dalla Chiesa avevano generato un sentimento anticlericale in tutto il frusinate e le donne mentre preparavano con cura e dedizione questa pasta auguravano ai preti di soffocarsi mentre la mangiavano! In agosto a Villa Santo Stefano si svolge la sagra dei “cecapreti”. Istituita nel 1984, nasce ad opera della Po Loco e trae le sue origini dall’antica “Liberanza di agosto” una delibera degli archivi comunali del 1643 in cui si legge “Nella prima settimana di agosto si dovrà erogare all’aperto un piatto di cecapreti alla popolazione presente” …
Tipica è anche la preparazione degli gnocchi di patate e dei cannelloni.
Per quanto riguarda i timballi ce n’è uno famoso, chiamato alla Bonfacio VIII, a base di tagliatelle fini-fini, prosciutto crudo, ragù di carne e pomodoro. Il nome sembra derivi dal fatto che il papa di Anagni ne fosse ghiotto, probabilmente però in una preparazione simile, in quanto nel periodo di papa Caetani il pomodoro ancora era sconosciuto!
Ottime anche le minestre e le zuppe, come sagne e fagioli, quella con i ceci e rosmarino. Privilegiate quelle col pane sotto, un piatto povero preparato con ingredienti tipici ciociari: pane raffermo, verdure locali, fagioli e olio extravergine di oliva.
E a proposito di pane, a Veroli la preparazione del pane ha origini molto antiche: è a lievitazione naturale e cotto a legna. Ha ottenuto il riconoscimento del marchio Igp.
Tra le ricette di carne da ricordare il garofolato, una ricetta che risale a metà del 1800 e che mantiene ancora oggi tutte le caratteristiche tradizionali: castrato di agnello a pezzi legati e insaporiti con chiodi di garofano, rosolati nell’olio con un battuto di aglio, cipolla, prezzemolo, sedano, timo, rosmarino e un po’ di peperoncino, sfumato con vino, e poi fatto cuocere con il pomodoro. Con il sugo di garofolato si condisce la pasta fatta in casa.
Ricetta di origini antiche anche l’abbuoto, o abbuticchio, tipica dei pastori transumanti, che prende altri nomi in varie zone d’Italia dedite alla pastorizia: marro in Abruzzo, abbuticchio verso Cassino e Caserta, torcinelli in Puglia… E’ a base di interiora di agnello da latte: cuore, fegato, polmone, animelle, che dopo accurata pulizia e taglio vengono messe all’interno dell’omento insieme a prezzemolo, aglio, sale, pepe e peperoncino, un po’ di grasso, chiuso a mo’ di salsicciotto e legato arrotolando e legando tutto intorno le budelline (si “abbuotano”, da cui il nome) ben lavate in acqua e aceto. Si cuoce in padella prima con acqua e vino bianco, e poi rosolato nel grasso che sprigiona.
Diffuse soprattutto nella zona di Guarcino e Vico, le coppiette ciociare, una volta di carne equina, ma oggi soprattutto di carne suina. Chiamate coppiette perché vengono vendute a coppia: strisce di coscia di maiale insaporite con sale e spezie, tra cui finocchio, peperoncino, rosmarino, messe stagionare infilzate in fili di canapa per un paio di mesi.
Guarcino è nota anche per il suo prosciutto. Un’eccellenza del suo territorio riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale del Lazio (P.A.T.). Un prosciutto ottenuto da carne suina di allevamenti locali, dal sapore molto aromatizzato dato dal vino rosso, peperoncino, bacche di ginepro… Inoltre la posizione geografica di Guarcino, sito nella confluenza delle vallate di Prata Longa e di Capo Cosa, conferisce un microclima ideale per la stagionatura (circa quindici mesi): rigido in inverno e fresco in estate.
Rinomata anche la carne suina Nero dei Monti Lepini.
A Patrica, caratteristica è la zazzicchia, una sorta di salsiccia di suino legata a mano con uno spago preparata con la spalla, il prosciutto, la pancetta e aromi tra cui emerge il finocchietto selvatico, la scorza d’arancia, l’aglio e il peperoncino.
Da sempre dedita alla pastorizia, la Ciociaria ci regala tante eccellenze anche nel campo dei formaggi, espresse nelle varietà e nel gusto caratteristico strettamente legato agli allevamenti dei diversi ambienti naturalistici: fiorente quello di bovini per la produzione di latte vaccino, soprattutto di bufala, per la preparazione delle mozzarelle di bufala protette dalla denominazione di origine. Note quelle della valle di Amaseno. Ricca anche la produzione di ottima ricotta di bufala. Dal latte vaccino un’altra DOP degna di nota è quella del Fior di latte Appennino Meridionale, patrimonio lattiero caseario di tutto il Mezzogiorno d’Italia. In tutta la valle di Comino si produce un altro fiore all’occhiello di questa terra, il pecorino di Picinisco dop. Pregiato anche quello di Ferentino. Menzione meritano anche la marzolina, formaggio storico della Ciociaria, prodotta con il latte di capra grigia ciociara e quella bianca dei monti Ausoni e Aurunci, il grancacio e la ciambella di Morolo. il conciato di San Vittore, altro prodotto ciociaro con riconoscimento P.A.T., molto antico e che si produceva già al periodo dei Sanniti, il caciocavallo e la scamorza appassita di Supino.
Per quanto riguarda gli ortaggi, la cucina tradizionale ciociara è solita portare in tavola piatti preparati con le erbe spontanee: pratolina, cicoria, tarassaco, chiamato “pisciacane” , crespigne, scaccialepre: “erue pazze” (erbe pazze) come vengono chiamate qua. Una ricetta molto antica è “fronne e patate” a base di patate e “fronne”, cioè le foglie del cavolo cappuccio, eventualmente con l’aggiunta di erbe spontanee lessate e ripassate in un soffritto di guanciale, soprattutto quello del nero dei Monti Lepini, cipolla e peperoncino.
Eccellenze e riconoscimenti li ritroviamo anche nel comparto ortofrutticolo: dal peperone cornetto di Pontecorvo DOP, di elevata sapidità, con buccia sottile associata a alta digeribilità, al fagiolo cannellino di Atina DOP, caratteristico per non aver bisogno di essere messo a bagno prima della cottura. Pregiati anche il fagiolo confettino di Terelle, l’aglio rosso di Castelliri, il fagiolone di Trevi nel Lazio e Filettino, le castagne di Terelle.
Ma è anche terra di tartufi la Ciociaria: neri e scorzoni estivi, e il prezioso bianco. Terra dei tartufi, viene chiamata Campoli Appennino, proprio per la grande produzione che ne offre.
Il clima temperato, i territori montani e collinari, hanno creato le condizioni giuste anche per lo sviluppo dell’olivocultura e della viticultura.
Per quanto riguarda gli oli, sono diversi gli extravergini di alta qualità provenienti da varie cultivar, tanto da poter soddisfare qualsiasi esigenza. L’olio Extravergine di Oliva ciociaro, ha colori che vanno dal verde fino al giallo ambrato, con un profumo fruttato, dal leggero fino ad arrivare ad un sapore con una punta media di gusto amaro e piccante. E’ in corso l’istanza di riconoscimento della DOP.
Tra i vini, oltre a tanti ottimi locali, degno di onore è il Cesanese di Piglio, prodotto nei comuni di Acuto, Anagni, Paliano, Piglio e Serrone, che ha avuto il riconoscimento DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita); il Passerina del Frusinate, vino bianco con riconoscimento IGT, il Cabernet Atina DOC, prodotto nella valle di Comino e le colline circostanti.
Di dolci tipici ve ne sono diversi. Alcuni affondano le radici nella pasticceria napoletana. Tra questi i torroni in pasta reale, di Alvito: pasta di mandorle, oggi arricchita da pinoli, chicchi di caffè o nocciole, ricoperta di cioccolato fondente, un altro prodotto con riconoscimento P.A.T. Tra i tradizionali “caserecci” la torta dolce di ricotta, una sfoglia ripiena di ricotta amalgamata a liquore, uova e cioccolata fondente; il panpepato, tipico del periodo natalizio a base di frutta secca e miele; la ciambella di Sora; gli amaretti di Guarcino, le ciambelline al vino, all’anice, tipiche di tutto il Lazio, i susamelli, e tanti altri che speriamo presto di pubblicare su Lazio Gourmand.
E parlando di sapori dolci, da ricordare anche la produzione di miele, di particolare pregio soprattutto quelli di acacia, di castagno,il millefiori, e di bosco. Nelle aree boschive e collinari ci sono innumerevoli alveari e oltre al miele è in espansione anche la produzione che deriva dall’apicultura: propoli, pappa reale, integratori alimentari e cosmetici.
La cucina del Lazio
La cucina romana
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