Posta e il Ristorante il Bagatto

RISTORANTE IL BAGATTO
Posta (Rieti)
Oggi vogliamo suggerirvi una passeggiata a Posta in provincia di Rieti. Un paesino a 4 km da Borbona. Il Comune di Posta è nel reatino, lungo il corso del fiume Velino e della via Salaria tra Antrodoco e Amatrice.
Questo piccolo comune montano ricco di patrimonio paesaggistico e storico nell’Alto Lazio è capitanato dal Sindaco Serenella Clarice, che cerca con tutte le risorse umane e materiali disponibili di mantenere la storia e le tradizioni secolari. I suoi abitanti avevano diverse attività artigianali e con molta fatica quaklcuno ha cercato di rimanere per continuare la tradizione e il lavoro. Non è impresa facile visto che quasi tutte le attività commerciali sono state danneggiate dal terremoto.
Come tutti i paesi e frazioni di quella zona maledetta, il Comune di Posta ha pagato un prezzo altissimo dopo il terremoto: attività chiuse e esodo di alcuni residenti in altri luoghi.

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Carne di coniglio e uova: una campagna per rilanciarne il consumo

Filmato Chef Ines Bertini

super uovo super coniglio

“A TAVOLA NASCONO NUOVI EROI” – UNA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE PER RILANCIARE IL CONSUMO DI UOVA E CARNE DI CONIGLIO

Filmato Chef Ines Bertini

Sostenere il comparto avicunicolo e promuovere il consumo di uova e carne di coniglio, alimenti importanti dal punto di vista nutrizionale per una dieta sana ed equilibrata.

Sono questi gli obiettivi di “A tavola nascono nuovi eroi”, campagna di comunicazione promossa dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e realizzata in collaborazione con l’Ismea, che ha presentato ufficialmente lunedì 20 novembre presso l’Hosteria La Luce, a Trastevere.

Rilanciare il consumo di uova e carne di coniglio, prodotti importanti per un’alimentazione sana ed equilibrata. Negli ultimi anni, infatti, a causa di un’informazione non sempre corretta, del cambiamento delle abitudini alimentari indotte spesso da pregiudizi e luoghi comuni, oltre che da allarmi incontrollati, gli operatori del settore si sono trovati ad affrontare momenti di crisi. Questo nonostante gli avicoltori e cunicoltori italiani rispettino dei disciplinari di qualità molto scrupolosi a garanzia della salute dei consumatori.

In effetti il consumo italiano pro-capite di uova è pari a 12,6 Kg, contro gli oltre 14 Kg nella UE. I numeri del settore parlano, per le uova, di una produzione  agricola italiana che ammonta a 850.000 tonnellate, pari ad un valore di 1,2 miliardi di Euro. Il fatturato dalle vendite del prodotto finito (confezionato o sgusciato) è pari a 1,5 miliardi di Euro. La produzione è assicurata da oltre 42 milioni di galline, presenti in 3.400 allevamenti, di cui circa 1000 con capacità superiore a 1000 capi. Delle uova vendute il 33% proviene da allevamenti a terra e il trend di crescita di questo  segmento rispetto al 2012 è del 47%.

Per quanto riguarda la carne di coniglio, l’Italia è il secondo produttore e consumatore mondiale (dopo la Cina). Anche qui la necessità di un rilancio dei consumi è testimoniata dal calo costante negli ultimi anni (-12% nei primi 9 mesi del 2017). Attualmente la produzione di carne di coniglio in Italia raggiunge le 55.000 tonnellate, con un consumo che ora sembra essersi stabilizzato intorno a 1 kg pro­ capite. Il settore gode di una sostanziale autosufficienza produttiva, e la coniglicoltura italiana si caratterizza, rispetto a quella europea, anche per l’efficienza produttiva espressa sia in termini di produttività del lavoro che di incidenza del costo dell’alimentazione sul costo totale di produzione.

In ultima analisi, occorre sgombrare il campo sia da un’informazione non corretta, sia da falsi convincimenti: un esempio per tutti è dato dalla cattiva reputazione che si è venuta creando intorno alle uova perché contengono molto colesterolo. Andrebbe detto invece che le uova sono uno degli alimenti più nutrienti sulla terra e che un giusto consumo settimanale di uova non solo non crea rischi per la salute ma può migliorare i livelli di colesterolo, aumentando quello buono e diminuendo  quello cattivo.

PROBLEMATICHE

  • Crisi dei due comparti e calo dei consumi di uova e carne di coniglio
  • Cambiamenti delle abitudini alimentari
  • informazione non sempre corretta sul valore nutritivo e la salubrità dei due prodotti (es. “le uova aumentano il colesterolo”)
  • Crescita della popolazione vegetariana in Italia (7%) e di quella vegana (1%) – (dati Eurispes 2016)
  • Aumento della sensibilità dei consumatori verso l’aspetto “sicurezza” e “trattamento degli animali da allevamento”.

OBIETTIVI DELLA CAMPAGNA

  • Rilanciare il consumo di uova e carne di coniglio alimenti sani, sicuri e nutrienti;
  • Svecchiare l’immagine dei due prodotti;
  • Estendere la platea dei consumatori soprattutto ai giovani;
  • Favorire l’inserimento di questi alimenti nelle diete associandoli ad un “giusto ” consumo e ad un “corretto” stile di vita;
  • Rassicurare i consumatori rispetto al sistema di tracciabilità e sicurezza dei prodotti in Italia
  • Contrastare i pregiudizi e tabù legati al consumo di questi prodotti.
  • Mostrare come il consumo di uova e carne di coniglio consenta a persone normali di migliorare notevolmente le proprie performance fino a compiere imprese eccezionali.
  • La normale quotidianità si trasforma e le persone diventano eroi pronti ad affrontare, con una marcia in più, le “imprese” di ogni giorno.

La campagna pubblicitaria partirà sia sui canali televisivi che radiofonici. In contemporanea la campagna sarà pubblicato su giornali su giornali e siti come la Cucina Italiana, Cucina Moderna, Giallo Zafferano, Sale&Pepe, Fattoincasadabenedetta. Verranno poi distribuiti depliant informativi e pieghevoli con ricette facili e creative, nei mercati rionali, in 800 punti vendita.

Qui vi alleghiamo il pieghevole con le ricette che ha elaborato la chef Ines Bertini del ristorante Hostaria Luce a Trastevere. Sono piatti deliziosi, facili e creativi che chiunque può replicare per presentare una cucina leggera e salutare per tutti grazie anche all’alta digeribilità.

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INFO NEI PUNTI VENDITA

E’ prevista un’azione di informazione capillare che coinvolge 800 Macellerie di tutta Italia.

Tale iniziativa è stata realizzata con la collaborazione con FIESA Confesercenti e Asso Macellai

Sono state identificate 16 SEDI TERRITORIALI

TORINO -GENOVA-LA SPEZIA-BERGAMO -PADOVA CESENA­PARMA-FERRARA-PESARO-CHIETI FIRENZE-ROMA-NAPOLI – BARI – REGGIO CALABRIA – PALERMO per la distribuzione di RICETTARI E LOCANDINE

Per ciascuna città capoluogo di provincia sono state coinvolte 50 macellerie.

Chef Ines Bertini è la creatrice delle 10 ricette.

Questi alcuni dei piatti, del depliant, presentati dalla chef il giorno della conferenza stampa

 

La Crostata di Nocciola tonda gentile di Faleria

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La Crostata di Nocciola Tonda Gentile è un dolce tipico di Faleria,  un paese a 40 Km da Roma situato nella provincia di Viterbo tra la s.s. Flaminia e la s.s. Cassia. Circondata da un lato dal massiccio monte Soratte, in un territorio abbastanza conosciuto per le testimonianze storiche, Faleria si trova a soli 15 Km dall’antica Falerii Veteres distrutta dai romani nel 241 a.C.
Dal punto di vista economico, Faleria nasce con vocazione prevalentemente agricola. Le campagne circostanti sono coltivate a oliveto e noccioleto. Le tecniche di coltivazione assolutamente BIOLOGICE e la lavorazione artigianale, assicurano la massima genuinità  dell’olio e la massima qualità delle nocciole.
Quasi tutta la produzione della Nocciola, della qualità “tonda gentile” e “nocciola rosa”   è destinata alla vendita per l’industria dolciaria nazionale ed estera. Ha costituito per lungo tempo l’unica risorsa economica per gli agricoltori. Per questo motivo tutte le ricette dei dolci tradizionali del paese, che le nonne ci hanno tramandato, sono rigorosamente a base di nocciole: tozzetti – amaretti – morette – croccanti – tartufi.

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nocciola tonda gentile del Viterbese

Abbiamo scelto le nocciole locali dalla produzione di Andrea Baroni. Andrea è un giovane imprenditore agricolo che, tra tradizione e futuro, si è inserito con coraggio, come tanti giovani, nel mondo dell’agricoltura. Fin da piccolo ha respirato il profumo della campagna e ne ha intuito il grande potenziale. Questo settore è in grado di dare prospettive ed opportunità, perché saldamente legato alle qualità che identificano il nostro Paese: la storia, la tradizione, il cibo. Quindi ha deciso di  fare dell’azienda agricola a conduzione familiare, situata a Sant’Angelo in Faleria e coltivata con fatica dal papà, la sua attività prevalente  con passione, innovazione e professionalità.

Andrea Baroni

Andrea conduce l’azienda, i cui i terreni sono coltivati a oliveto e noccioleto, secondo le norme che regolano l’agricoltura biologica, perché il biologico è una sua scelta di vita. Ponendo al centro dei suoi interessi il benessere, la salute dell’uomo, degli animali, della terra ha scelto un percorso biologico abbracciando e favorendo uno stile di vita sostenibile per sé e per gli altri in un’ottica di un futuro migliore per tutti. La raccolta di nocciole si fa indicativamente per tutto il mese di settembre. Alcune colture possono portare a maturazione i propri frutti già dalla seconda metà del mese di agosto. In ogni caso, per avere la certezza della maturazione delle nocciole bisogna solo attendere la caduta dei primi frutti, a questo stadio la maggior parte di essi sarà pronta per la raccolta. Per raccogliere le nocciole, fino a qualche anno fa, si procedeva manualmente. Oggi la raccolta è puramente meccanizzata e prevede l’impiego di apposite macchine raccoglitrici. La praticità di queste macchine sono le due spazzole ruotanti sul davanti, atte a radunare le nocciole cadute a terra e un grande tubo aspiratore che le convoglia ad un accessorio rotante per una prima pulitura, dividendo le nocciole da foglie, terra ed eventuali sassi.

macchina lavorazione nocciole
Dopo la raccolta vengono convogliate in una macchina pulitrice e fatte essiccare al sole per alcuni giorni per toglierne l’umidità. Poi, nelle ore notturne vengono riportate all’interno per poi riesporle la mattina seguente. In questo modo le nocciole possono essere conservate a lungo.

Vengono poi trasportate e consegnate alle cooperative di produttori. Con le organizzazioni associative già esistenti sul territorio, contribuiscono poi alla concertazione dell’offerta, al miglioramento del prodotto  e all’integrazione della filiera, operando ai primi livelli del canale commerciale.

Dal punto di vista della varietà, la nocciola  coltivata da Andrea Baroni,  è quella specifica della zona del Viterbese e quindi la TONDA GENTILE ROMANA che risulta molto apprezzata dalle industrie di trasformazione.

La ricetta proposta è tipica di Faleria e  ci è stata donata dalla mamma di Andrea, Daniela, che ha mantenuto le tradizioni familiari.

CROSTATA DI NOCCIOLE

  • 1 uovo intero
  • 1 tuorlo
  • 150 g di zucchero
  • 150 gr di burro
  • 300 g di farina
  • 1 cucchiaino di lievito Bertolini
  • limone grattugiato
Ingredienti per la base:
  • 350 g di nocciole tostate e macinate
  • 300 g di zucchero
  • 3 uova
  • 80 g di mandorle amare (o una fialetta di essenza alla mandorla)
  • 1 bicchiere di Amaretto di Saronno
  • limone e arancia
Ingredienti per la copertura

Esecuzione

Per la base si procede come per la pasta frolla classica. Per la copertura: tostate le nocciole in forno a 180° per 15/20 min. Procedete alla macinazione nel frullatore o meglio nella grattugia elettrica in modo che rimangano pezzetti piccoli di nocciole. Montate i tuorli con lo zucchero e, a parte, montate le chiare a neve. Unite al composto le nocciole e amalgamare bene, versate il bicchiere di Amaretto di Saronno, la buccia di limone e arancia grattugiata, le mandorle amare macinate (o la fialetta di mandorla amara) e, per ultime, le chiare montate a neve. Mettete la teglia in forno, già caldo, a 180/200° per 35/40 minuti.

 

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Pizza di polenta con uvetta e pinoli

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C’era una volta… e oggi non c’è più! E sì! Perché una volta la pizza di polenta con uvetta sultanina e pinoli faceva sempre capolino nel banco di esposizione del fornaio di quartiere. Con i suoi colori dorati, tempestata dei gioielli nostrani [uvetta e pinoli] faceva la sua bella figura tra una teglia di castagnaccio, di pizza rossa e di quella bianca. Tutto ci faceva venire l’acquolina in bocca!  E così ogni tanto la colazione per scuola suonava così: «Che me dai 30 lire de pizza e uvetta?».

Realizzarla è estremamente semplice, un ottimo modo per riciclare la farina di polenta avanzata, un pugnetto di pinoli e uvetta… Basta procurarsi un po’ di ricotta fresca!!

  • 300 g di ricotta
  • 300 g di farina di polenta
  • 150 g di zucchero
  • 1/2 cucchiaio di cannella in polvere
  • un pugno di pinoli
  • un pugno di uvetta sultanina
Ingredienti per una teglia di 30 cm

Preparazione della Pizza di polenta con uvetta e pinoli

L'esecuzione della ricetta della Pizza di polenta con uvetta e pinoli direttamente da Madame Ada Boni, tratta dal suo libro 'La cucina romana'
Mettere in una terrinetta la ricotta e scioglierla con un ramaiolo di acqua tiepida mescolando con un cucchiaio di legno. Quando la ricotta sarà sciolta si aggiunge lo zucchero e si mescola ancora un poco per amalgamarla bene. Si aggiunge allora un po’ alla vola la farina di polenta distribuendola con la mano sinistra, mentre con la destra si continuerà a mescolare. Man mano che il composto indurirà troppo si aggiungerà altra acqua tiepida, regolandosi di ottenere come una crema non troppo densa né troppo liquida. Si aggiunge allora la cannella in polvere e la sultanina, la quale sultanina va prima mondata e poi tenuta a rinvenire per qualche minuto in una tazzina con un pochino di acqua tiepida. Molti adoperano lo zibibbo in luogo della sultanina, ma quest’ultima è preferibile perché priva di semi. Si unge di strutto una teglia [io ho sostituito con il burro] di circa 30 cm di diametro, ci si versa il composto e su esso si seminano i pinoli. Si ultima la pizza mettendo ancora qua e l qualche pezzetto di strutto [burro] e si passa la teglia in forno di giusto calore per circa tre quarti d’ora fino a quando la torta sia bene asciutta ed abbia fatto una bella crosta dorata. Questo genere di pizza deve essere piuttosto bassa: circa un dito.

Ecco qua! Se amate un gusto un po’ ruvido, rustico, croccante e profumato, basta provarla! Sfornate

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Tagliate e gustate!

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Alla prossima!!

Amatrice un anno dopo

Polo gastronomico Amatrice

Hotel Roma nuovo

Amatrice. E’ trascorso un anno dal terribile terremoto del 24 agosto 2016.

Là dove si doveva celebrare la 50.ma Sagra degli Spaghetti all’Amatriciana, proprio in un momento di festa e di presenza massiccia di amatori, turisti e locali ci fu la distruzione: 231 vittime solo ad Amatrice e 11 ad Accumuli e altre vittime ancora nei paesi e frazioni limitrofe 299 in totale e poi i dispersi. Distruzione ovunque e come se non bastasse un inverno freddissimo e carico di neve. Emergenze su emergenze.

Le navi romane del Lago di Nemi: si cerca la terza nave romana di Caligola

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LE NAVI ROMANE DEL LAGO DI NEMI FORSE NON ERANO SOLO DUE: NEL LAGO SI CERCA LA TERZA NAVE FATTA COSTRUIRE DALL’IMPERATORE CALIGOLA.

Le navi romane del lago di Nemi  costituiscono un esempio unico di imbarcazioni cerimoniali da parata, dei veri e propri palazzi galleggianti più che natanti veri e propri.
Le navi risalgono al periodo dell’imperatore Caligola (12-41 d.C.) e rappresentano un esempio importantissimo di tecnica navale romana.
Svetonio descrive le navi romane di Caligola nelle «Vite dei Cesari»: «Dieci file di remi, la poppa brillante di gioielli, ampi bagni, gallerie e saloni, sempre rifornite di gran varietà di viti e alberi da frutto»

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Caligola aveva un profondo interesse per la marineria e una grande e capacità di avvalersi di tecnici competenti; la testimonianza più significativa sono proprio le due navi che l’imperatore fece costruire e ormeggiare nel lago di Nemi. Lunghe 70 metri e larghe 20 avevano funzione di Palazzo l’una e di nave cerimoniale l’altra. Caligola si ispirò a precedenti esempi di età ellenistica, le navi infatti sono considerate la naturale prosecuzione in età romana degli spettacolari Navigli descritti da Moschione – tecnico navale – e Callistino. Le navi romane di Nemi hanno senza dubbio la ricchezza fuor di misura dell’apparato decorativo della villa e del santuario costruiti sulla sponda del Lago, per questo realizzazioni pressoché ineguagliabili. Costruite in legno, accanto agli strumenti propri dell’ingegneria navale, sono stati recuperati arredi e suppellettili di lusso propri dell’architettura stabile dei palazzi e delle residenze di prestigio, erme bifronte e una transenna di bronzo, mosaici, colonne di marmi vari, lastre di terracotta figurata impiegate per decorare le pareti.

Per ospitare le due gigantesche navi imperiali di Caligola, recuperate nelle acque del bacino tra il 1929 e il 1931, venne costruito, tra il 1933 e il 1939 sulla riva settentrionale del lago, il MUSEO DELLE NAVI ROMANE di Nemi. Fu il primo museo in Italia e forse in Europa ad essere costruito in funzione del suo contenuto: due scafi delle misure rispettivamente di metri 71,30 x 20 e m 73 x 24.

Fu distrutto da un incendio nel 1944, lo stesso in cui andarono drammaticamente perdute le due navi cerimoniali, riaperto nel 1953 e poi chiuso nel 1962. Nel 1988 fu definitivamente riaperto con un nuovo allestimento in cui l’ala sinistra è dedicata alle navi. Sono esposti alcuni materiali scampati all’incendio, come la ricostruzione del tetto con tegole di bronzo, due ancore, il rivestimento della ruota di prua, attrezzature di bordo originali o ricostruite, (una noria, una pompa a stantuffo, un bozzello, una piattaforma su cuscinetti a sfera). Sono inoltre visibili due modelli delle navi in scala 1:5 e la ricostruzione in scala al vero dell’aposticcio di poppa della prima nave, su cui sono state posizionate le copie in bronzo delle cassette con protomi ferine.  Inoltre è visibile un tratto di basolato romano inglobato nel museo, il clivus birbi, che da Ariccia conduceva al santuario di Diana.

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L’incendio del museo, provocato dalle truppe tedesche in ritirata durante l’ultimo conflitto mondiale, ha distrutto uno degli esempi più completi di architettura navale. Non esistono fonti che parlano di un’opera così importante che sicuramente non passò inosservata, una “damnatio memoriae”che ha condannato Caligola e le sue opere all’oblio.

In questi giorni è stata avviata ufficialmente e alla presenza di molti giornalisti e autorità, una nuova ricerca di una ipotetica TERZA NAVE di CALIGOLA.
Il Sindaco Alberto Bertucci, il 5 Aprile, ha infatti dato il via ufficiale alla ricerca della terza nave romana di Caligola, alla presenza della Direttrice del Polo museale del Lazio Edith Gabrielli, di Luigi Dattola, geologo del Centro Geologia e Amianto dell’Arpacal, del Comandante della Guardia Costiera Roma e Provincia di stanza a Fiumicino Fabrizio Ratto Vaquer, del Nucleo subacquei dell’Arma dei Carabinieri, dell’architetto Giuliano Di Benedetti.

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Qui tutte le foto.
Qui e qui i video di presentazione del progetto

Il Nucleo subacquei dell’Arma dei Carabinieri, scandaglierà per una settimana le acque del lago di Nemi alla ricerca della nave. Luigi Dattola, coordinerà la ricerca per cui verrano utilizzati un “side scan sonar” per realizzare la mappatura del fondale, e un “sub bottom profiler”, sistema che permette di identificare la sequenza litostratigrafica presente sul fondale e consente di ottenere profili fino a quattro metri al di sotto del fondale.

Nella seconda la fase si elaboreranno i dati per trovare elementi a sostegno della presenza della nave romana che potrebbe essere occultata da strati di limo e detriti. Se tracce dell’imponente nave non si trovassero, l’operazione avrà comunque permesso di eseguire una attenta analisi del fondale lacustre e la sua mappatura.
Abbiamo seguito in barca l’inizio della mappatura con il“side scan sonar”, fino al punto più profondo del lago, in cui si ipotizza che si trovi la terza nave.

L’ipotesi della presenza di una terza nave è sostenuta dall’architetto Giuliano Di Benedetti. Basandosi su documenti antichi, lo studioso ha trovato elementi che fanno pensare che Caligola fece costruire tre navi sul lago di Nemi. La terza imbarcazione, molto più grande delle altre due recuperate nel 1929 e poi distrutte nel 1944 dall’incendio del Museo delle Navi, sarebbe addossata alla costa del lago che “guarda a levante” cioè dalla parte opposta a quella dove furono rinvenute le altre due. Leon Battista Alberti la esplorò verso il 1460 con l’aiuto di esperti nuotatori genovesi. Gli allievi di Leonardo da Vinci, grazie ad una campana da lui ideata, nel 1512 riuscirono a scendere sott’acqua ed a vedere la nave. Le misure rilevate da l’ingegnere militare bolognese Francesco De Marchi nel 1535 e da Leonardo Bufalini erano notevolmente diverse da quelle delle due navi recuperate. Quindi – conclude l’architetto – la nave indicata da Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci, Francesco De Marchi, Leonardo Bufalini e Annesio Fusco era un’altra, la terza. Molto più grande e posta ad oltre un chilometro di distanza dal punto in cui furono ritrovate le altre due.”

Qui L’architetto Di Benedetti ci illustra le foto dell’ipotetico fasciame della nave cercata.

Non resta, quindi, che aspettare i risultati dei rilevamenti eseguiti in questa settimana di ricerche, e se qualche nuovo indizio dovesse avvalorare l’affascinante tesi dell’architetto Di Benedetti, inizierà una fase “che potrà finalmente svelare la misteriosa leggenda della terza nave”, come sottolinea il Sindaco, Alberto Bertucci.

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Bibliografia
AA.VV., Caligola. La trasgressione al potere, Gangemi editore
AA.VV., Sulle tracce di Caligola: Storie di grandi recuperi della Guardia di Finanza,Gangemi editore
AA.VV., Ai confini di Roma: Tesori archeologici dai musei della provincia, Gangemi editore
Sitografia
http://www.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/Luogo/MibacUnif/Luoghi-della-Cultura/visualizza_asset.html?id=151036&pagename=157031

Trippa alla Romana

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La trippa è l’apparato digerente dei bovini, una frattaglia, compresa fra esofago e stomaco; dopo la macellazione viene sottoposta a pulizia e bollitura. È composta da rumine (la parte a forma di sacco più grande, detta anche trippa, croce, crocetta, pancia, trippa liscia o busecca), omaso (formato da lamelle, detto anche centopelli o foiolo) e reticolo (o cuffia, un piccolo sacco con aspetto spugnoso, detta anche cuffia, nido d’ape, bonetto o beretta). I greci la cucinavano sulla brace, mentre i romani la utilizzavano per preparare salsicce. Le ricette per la preparazione della trippa sono infinite: non vi è angolo d’Italia che non abbia una sua ricetta per la trippa. 

Dal punto di vista nutrizionale è un alimento molto valido perché ha un contenuto molto elevato di proteine e vitamine e basso in grassi. Per 100 g abbiamo: carboidrati: 0; proteine: 12,07; grassi: 3,69; acqua: 84,16; colesterolo: 122; sodio: 97; calorie: 85. Inoltre troviamo una presenza abbondante di sostanze minerali, specialmente calcio e fosforo.

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Come appena descritto, la trippa fa parte della cultura culinaria di tutta Italia e direi del Mondo. Cercando in rete ho trovato addirittura un libro “Troppa trippa”, di Indro Neri, Neri Editore, Firenze 1998, 192 pagine, una ricerca di tre anni che descrive le ricette di tutto il mondo ma anche le citazioni letterarie o i dipinti a lei dedicati o le poesie.

Come diceva il Belli la trippa va mangiata di sabato e in buona compagnia. “Giovedì gnocchi e sabato trippa”, uno dei proverbi romaneschi che ben indica questo gustosissimo piatto. È un piatto che, come molti altri a Roma, non ha molti fans a causa delle origini “truculente”, ma basta assaggiarlo una volta e si diventa subito amici. Nelle trattorie di Testaccio, (quartiere cult di Roma), si trova ancora l’antica ricetta.

Nel Settecento, Francesco Leonardi, un cuoco nato a Roma, ma specializzatosi tra i potenti del mondo, dal maresciallo Richelieu alle corti di Polonia, Germania e Inghilterra, con il suo “Apicio moderno”, tra tante squisitezze e raffinatezze riportate spicca, per quanto riguarda la cucina romana, la ricetta della Trippa di manzo alla romana: “Quando la trippa di manzo sarà ben pulita e lavata, fatela cuocere con acqua, sale, una cipolla con tre garofani, un mazzetto di petrosemolo con sellero, carota, due spicchi d’aglio, mezza foglia d’alloro; fatela bollire in una marmitta a picciolo fuoco sei o sette ore, che sia ben schiumata; quando sarà cotta, tagliatela in quadretti, mettetela in una cazzarola con un pezzo di butirro, sale e pepe schiacciato, passate sopra il fuoco, aggiungeteci un poco di spagnuola e culì. Abbiate un piatto con un picciolo bordo di pane o di pasta, fate un suolo di parmigiano grattato e un suolo di trippa, e così continuate fino a tanto che il piatto sia sufficientemente pieno, terminando col parmigiano grattato, nel quale avrete cura di mescolare un poco di menta trita; ponete alla bocca del forno o sulla cenere calda acciò prenda sapore, e servite ben calda”.
Una curiosità: “Nun c’è trippa pe’ gatti” così cita un detto popolare romano. Ma qual è l’origine di questa frase? Alcuni detti popolari giunti fino a noi, condensano in poche parole il senso della crisi, della mancanza di denaro. A Roma, come nel resto del nostro Paese, si vivono tempi difficili dal punto di vista economico, la crisi porta il popolo a tirare la cinta, rivedere stili di vita e trovare il modo di arrivare con lo stipendio fino alla fine del mese. Roma nei secoli ha vissuto crisi di tutti i tipi; carestie, pestilenze, assedi, invasioni e tiranni hanno lasciato una forte impronta sia nel tessuto urbano sia nella tradizione popolare. “Nun c’è trippa pe’ gatti”, ad esempio, è l’eloquente espressione usata per dire che non ci sono più soldi oppure che non si fa alcun credito. Si potrebbero immaginare quei felini che aspettano invano davanti alla bottega del macellaio per rimediare un pezzetto di carne che non arriverà mai. Invece il detto ha un’origine ben definita: nel 1907, il sindaco di Roma, Nathan, in cerca di modi per risanare il bilancio cittadino in crisi nera, depennò dalla lista di pagamenti la trippa per i gatti che il comune acquistava per i mici del centro storico, tanto utili per eliminare i topi. Nathan ritenne quella spesa uno spreco e per risparmiare annunciò pubblicamente che a Roma non ci sarebbe più stata trippa per gatti.

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Trippa alla romana

 

  • 1 k di trippa
  • 2 fette di guanciale
  • 400 g di pomodori pelati
  • Una cipolla
  • Una costa di sedano
  • Una carota
  • Uno spicchio di aglio
  • Olio extravergine di oliva q.b.
  • Menta romana
  • Pecorino romano grattugiato
  • Sale e pepe o peperoncino
Ingredienti per 4 persone

La trippa si acquista normalmente già prelessata. Il metodo di lavaggio e di lessatura ne condiziona ovviamente il sapore. Per pulirla vengono usati a volte prodotti che la rendono bianchissima ma insapore; è preferibile acquistare quella grigia o scura e quindi non “candeggiata” o troppo cotta. Se possibile acquistate la trippa intera senza farvela affettare, sciacquatela e mettetela a bollire in abbondante acqua salata in ebollizione insieme a una carota affettata, una costa di sedano a pezzi, una cipolla e un mazzetto di prezzemolo. Fate riprendere l’ebollizione quindi abbassate la fiamma al minimo e proseguite la cottura per circa tre quarti d’ora. Lasciatela raffreddare e nel frattempo preparate un trito con il guanciale, la cipolla, la carota, il sedano, e lo spicchio d’aglio. Scaldate l’olio in un tegame di terracotta e fate appassire dolcemente il battuto mescolando spesso. Affettate la trippa a striscioline e versatela nel tegame quando il soffritto comincia a prendere colore. Fate insaporire per qualche minuto mescolando, quindi unite i pelati sminuzzati, salate e pepate e proseguite la cottura per circa un’ora. Durante questo tempo mescolate spesso e unite un mestolo di brodo o acqua calda quando necessario tenendo presente che alla fine la trippa deve essere immersa in un sugo abbondante. A cottura ultimata, versate la trippa nel piatto da portata e completate il piatto con abbondante pecorino grattugiato e foglioline di menta sminuzzate.

 

Riferimenti:

 

Stufatino cor sellero

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Stufatino cor sellero, si dice a Roma, Stufato con il sedano, in italiano. Oggi Lazio Gourmand vi propone lo Stufatino cor sellero, un piatto della tradizione romana, che una volta era pressoché sempre presente nelle trattorie romane. Oggi non si trova quasi più. Un piatto da preparare in casa quando si ha un po’ più di tempo a disposizione, perché è una di quelle ricette che si preparano a fuoco lento, per almeno un paio di ore. E mentre lo prepari e cuoce piano piano… un profumo intenso  invade la casa e riporta alla mente quelle domeniche mattine quando ti svegliavi col profumo del cappuccino mescolato a quello della “cucina di mamma” e che nelle giornate invernali ti scaldava l’anima e il cuore. 

I più si staranno chiedendo: ma cosa è sto sellero? Semplicemente… il sedano!

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  • 600 g di muscolo di manzo (polpa di stinco)
  • 1/2 cipolla
  • 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva
  • 1 spicchio di aglio
  • 1 cucchiaio di grasso di prosciutto più un altro cucchiaio grasso e magro
  • maggiorana q.b.
  • 2 cucchiai di salsa di pomodoro
  • 1/2 bicchiere di vino rosso
  • sale e pepe q.b.
  • 300 g di coste di sedano 
Ingredienti per 4 persone

PREPARAZIONE

Per la preparazione ho seguito i suggerimenti di Ada Boni, omettendo però lo strutto e sostituendo il taglio a spezzatino anziché a fettine sottili.

  • Tagliare la cipolla farla imbiondire con l’olio extravergine di oliva. Quando ha preso un bel colore  aggiungere il grasso e magro di prosciutto tritato con l’aglio.
  • Subito dopo mettere  la carne, condire con sale e pepe e un po’ di maggiorana.
  • Quando la carne è ben rosolata e ha preso un bel colore scuro, versare il vino rosso e poi lasciarlo evaporare.
  • A questo punto unire i due cucchiai di salsa di pomodoro e tanta acqua quanta ne occorre per coprire la carne.
  • Coprire e lasciar cuocere a fuoco lento per circa due ore, aggiungendo altra acqua se dovesse asciugarsi troppo.
    A parte sfilettare, lavare e lessare i sedani e lasciarli insaporire una decina di minuti insieme alla salsa e alla carne.

Lo stesso procedimento si adotta sostituendo i cardi (noi li chiamiamo gobbi) ai sedani.

Un secondo ottimo, da gustare ben caldo. Una bella “scarpetta” non ce la toglie nessuno! Irresistibile!

 

 

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Petto di vitella alla fornara

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Il petto di vitella alla fornara è uno dei piatti tipici, forse dimenticati, della cucina laziale. Quella cucina laziale povera, del popolino, essenziale, fatta con le parti meno nobili dell’animale.
Un piatto che richiede davvero pochissimi ingredienti e la cui unica attenzione va fatta sui tempi di cottura.
Quei pochissimi ingredienti, genuini ed il sapore della carne ne fanno un piatto davvero ottimo. La patate cotte nella stessa teglia sono la morte del petto di vitella alla fornara, anche se, diciamolo, ne aumenta l’apporto energetico.

petto di vitella alla fornara

Alla “fornara” perché pare “…ispirato alla “Fornarina”, tale Margherita Luti, la leggendaria donna, figlia di un fornaio di Trastevere, che Raffaello immortalò nelle sue pitture.

La storia racconta che una quarantina di patrioti romani superstiti dei motti insurrezionali iniziati nella capitale dello Stato Pontificio, il 25 ottobre 1867 stessero aspettando l’arrivo di Garibaldi per far insorgere Roma contro il governo di PIO IX.  Riunito da giorni in un palazzotto di Trastevere, il gruppo era incoraggiato da Giuditta Tavani, giovane donna di 37 anni, madre di 4 figli con in grembo il 5° , figlia del proprietario del lanificio Ajani sede del ritrovo dei patrioti.
Quel 25 ottobre 1867, Giuditta Tavani, solita preparare i pranzi, cucinò proprio il petto di vitello alla fornara.
Oggi, in corrispondenza del palazzo che una volta era il lanificio Ajani, si erge il busto di Giuditta Tavani Arquati con una lapide a ricordo di quel tragico eccidio dei patrioti romani.

Fonte

La ricetta del petto di vitella alla fornara

petto di vitella alla fornara

  • 1 kg circa di punta di petto di vitello
  • 2 o 3 spicchi d’aglio
  • rosmarino
  • salvia
  • olio extra vergine di oliva
  • 1/2 bicchiere circa di vino bianco secco
  • sale, pepe q.b
  • 1 kg di patate (facoltativo)
ingredienti per 6 persone

Preparazione : 

  • Preparate un battuto con gli aromi – io non ho battuto l’aglio, ma semplicemente diviso in parti ed inserito nelle intaccature della carne –  unite l’olio extravergine di oliva, il sale ed il pepe. Ricoprite il pezzo di carne con la marinata e lasciate insaporire così per un’oretta.
  • Trascorso il tempo trasferite la carne con tutta la marinata, in una teglia unta a filo con dell’olio extravergine di oliva.
    Infornate a calore medio – 190° – per circa un’ora avendo cura di bagnare spesso la carne con il fondo di cottura e unendo verso la fine mezzo bicchiere di vino bianco secco.
    Se decidete di unire le patate, una volta spellate, tagliatele a quadretti non troppo grossi e cuocetele insieme alla carne.
  • A cottura ultimata servite il petto di vitella alla fornara a fette alte circa un dito, accompagnandolo con il sughetto.

petto di vitella alla fornara

Il “difficile” è tutto qui, nella giusta cottura: regolatevi in base al vostro forno, che solo voi conoscete.
Curate di tenere sempre “bagnato” il pezzo di carne. Alla fine deve risultare croccante fuori e morbido dentro.