Umilmente abbiamo voluto aderire, umilmente abbiamo letto e eseguito alla lettera il piatto del Maestro Gualtiero Marchesi: “Insieme Armonico” per IDIC 2018, l’undicesima edizione della Giornata Internazionale della Cucina Italiana.
Perché il 19 marzo? Le precedenti edizioni si sono svolte il 17 gennaio ma quest’anno il Maestro ci ha lasciato e la Fondazione Marchesi e l’IDIC hanno deciso di aspettare il giorno del suo 88mo compleanno per celebrare e omaggiare il suo ricordo.
RICETTE
Zuppa di broccoli
Spaghettoni con la colatura di alici, ricetta tradizionale di Anzio
Gli Spaghettoni con la colatura di alici, una ricetta buona e semplice della tradizione di Anzio, recuperata da Manaide, il laboratorio di conserve ittiche di Anzio.
La produzione della colatura di alici, ha origini lontane nel tempo. Vanta una nobile discendenza dal Garum, la salsa di pesce tanto amata dai Romani; Apicio, nel De re coquinaria, suggerisce in gran parte delle sue ricette, con la specifica funzione di salare le vivande.
La Crostata di Nocciola tonda gentile di Faleria
La Crostata di Nocciola Tonda Gentile è un dolce tipico di Faleria, un paese a 40 Km da Roma situato nella provincia di Viterbo tra la s.s. Flaminia e la s.s. Cassia. Circondata da un lato dal massiccio monte Soratte, in un territorio abbastanza conosciuto per le testimonianze storiche, Faleria si trova a soli 15 Km dall’antica Falerii Veteres distrutta dai romani nel 241 a.C.
Dal punto di vista economico, Faleria nasce con vocazione prevalentemente agricola. Le campagne circostanti sono coltivate a oliveto e noccioleto. Le tecniche di coltivazione assolutamente BIOLOGICE e la lavorazione artigianale, assicurano la massima genuinità dell’olio e la massima qualità delle nocciole.
Quasi tutta la produzione della Nocciola, della qualità “tonda gentile” e “nocciola rosa” è destinata alla vendita per l’industria dolciaria nazionale ed estera. Ha costituito per lungo tempo l’unica risorsa economica per gli agricoltori. Per questo motivo tutte le ricette dei dolci tradizionali del paese, che le nonne ci hanno tramandato, sono rigorosamente a base di nocciole: tozzetti – amaretti – morette – croccanti – tartufi.
Abbiamo scelto le nocciole locali dalla produzione di Andrea Baroni. Andrea è un giovane imprenditore agricolo che, tra tradizione e futuro, si è inserito con coraggio, come tanti giovani, nel mondo dell’agricoltura. Fin da piccolo ha respirato il profumo della campagna e ne ha intuito il grande potenziale. Questo settore è in grado di dare prospettive ed opportunità, perché saldamente legato alle qualità che identificano il nostro Paese: la storia, la tradizione, il cibo. Quindi ha deciso di fare dell’azienda agricola a conduzione familiare, situata a Sant’Angelo in Faleria e coltivata con fatica dal papà, la sua attività prevalente con passione, innovazione e professionalità.
Dopo la raccolta vengono convogliate in una macchina pulitrice e fatte essiccare al sole per alcuni giorni per toglierne l’umidità. Poi, nelle ore notturne vengono riportate all’interno per poi riesporle la mattina seguente. In questo modo le nocciole possono essere conservate a lungo.
Vengono poi trasportate e consegnate alle cooperative di produttori. Con le organizzazioni associative già esistenti sul territorio, contribuiscono poi alla concertazione dell’offerta, al miglioramento del prodotto e all’integrazione della filiera, operando ai primi livelli del canale commerciale.
Dal punto di vista della varietà, la nocciola coltivata da Andrea Baroni, è quella specifica della zona del Viterbese e quindi la TONDA GENTILE ROMANA che risulta molto apprezzata dalle industrie di trasformazione.
La ricetta proposta è tipica di Faleria e ci è stata donata dalla mamma di Andrea, Daniela, che ha mantenuto le tradizioni familiari.
CROSTATA DI NOCCIOLE
- 1 uovo intero
- 1 tuorlo
- 150 g di zucchero
- 150 gr di burro
- 300 g di farina
- 1 cucchiaino di lievito Bertolini
- limone grattugiato
- 350 g di nocciole tostate e macinate
- 300 g di zucchero
- 3 uova
- 80 g di mandorle amare (o una fialetta di essenza alla mandorla)
- 1 bicchiere di Amaretto di Saronno
- limone e arancia
Esecuzione
Per la base si procede come per la pasta frolla classica. Per la copertura: tostate le nocciole in forno a 180° per 15/20 min. Procedete alla macinazione nel frullatore o meglio nella grattugia elettrica in modo che rimangano pezzetti piccoli di nocciole. Montate i tuorli con lo zucchero e, a parte, montate le chiare a neve. Unite al composto le nocciole e amalgamare bene, versate il bicchiere di Amaretto di Saronno, la buccia di limone e arancia grattugiata, le mandorle amare macinate (o la fialetta di mandorla amara) e, per ultime, le chiare montate a neve. Mettete la teglia in forno, già caldo, a 180/200° per 35/40 minuti.
Pizza di polenta con uvetta e pinoli
R
C’era una volta… e oggi non c’è più! E sì! Perché una volta la pizza di polenta con uvetta sultanina e pinoli faceva sempre capolino nel banco di esposizione del fornaio di quartiere. Con i suoi colori dorati, tempestata dei gioielli nostrani [uvetta e pinoli] faceva la sua bella figura tra una teglia di castagnaccio, di pizza rossa e di quella bianca. Tutto ci faceva venire l’acquolina in bocca! E così ogni tanto la colazione per scuola suonava così: «Che me dai 30 lire de pizza e uvetta?».
Realizzarla è estremamente semplice, un ottimo modo per riciclare la farina di polenta avanzata, un pugnetto di pinoli e uvetta… Basta procurarsi un po’ di ricotta fresca!!
Preparazione della Pizza di polenta con uvetta e pinoli
Ecco qua! Se amate un gusto un po’ ruvido, rustico, croccante e profumato, basta provarla! Sfornate
Tagliate e gustate!
Alla prossima!!
Trippa alla Romana
La trippa è l’apparato digerente dei bovini, una frattaglia, compresa fra esofago e stomaco; dopo la macellazione viene sottoposta a pulizia e bollitura. È composta da rumine (la parte a forma di sacco più grande, detta anche trippa, croce, crocetta, pancia, trippa liscia o busecca), omaso (formato da lamelle, detto anche centopelli o foiolo) e reticolo (o cuffia, un piccolo sacco con aspetto spugnoso, detta anche cuffia, nido d’ape, bonetto o beretta). I greci la cucinavano sulla brace, mentre i romani la utilizzavano per preparare salsicce. Le ricette per la preparazione della trippa sono infinite: non vi è angolo d’Italia che non abbia una sua ricetta per la trippa.
Come appena descritto, la trippa fa parte della cultura culinaria di tutta Italia e direi del Mondo. Cercando in rete ho trovato addirittura un libro “Troppa trippa”, di Indro Neri, Neri Editore, Firenze 1998, 192 pagine, una ricerca di tre anni che descrive le ricette di tutto il mondo ma anche le citazioni letterarie o i dipinti a lei dedicati o le poesie.
Come diceva il Belli la trippa va mangiata di sabato e in buona compagnia. “Giovedì gnocchi e sabato trippa”, uno dei proverbi romaneschi che ben indica questo gustosissimo piatto. È un piatto che, come molti altri a Roma, non ha molti fans a causa delle origini “truculente”, ma basta assaggiarlo una volta e si diventa subito amici. Nelle trattorie di Testaccio, (quartiere cult di Roma), si trova ancora l’antica ricetta.
Nel Settecento, Francesco Leonardi, un cuoco nato a Roma, ma specializzatosi tra i potenti del mondo, dal maresciallo Richelieu alle corti di Polonia, Germania e Inghilterra, con il suo “Apicio moderno”, tra tante squisitezze e raffinatezze riportate spicca, per quanto riguarda la cucina romana, la ricetta della Trippa di manzo alla romana: “Quando la trippa di manzo sarà ben pulita e lavata, fatela cuocere con acqua, sale, una cipolla con tre garofani, un mazzetto di petrosemolo con sellero, carota, due spicchi d’aglio, mezza foglia d’alloro; fatela bollire in una marmitta a picciolo fuoco sei o sette ore, che sia ben schiumata; quando sarà cotta, tagliatela in quadretti, mettetela in una cazzarola con un pezzo di butirro, sale e pepe schiacciato, passate sopra il fuoco, aggiungeteci un poco di spagnuola e culì. Abbiate un piatto con un picciolo bordo di pane o di pasta, fate un suolo di parmigiano grattato e un suolo di trippa, e così continuate fino a tanto che il piatto sia sufficientemente pieno, terminando col parmigiano grattato, nel quale avrete cura di mescolare un poco di menta trita; ponete alla bocca del forno o sulla cenere calda acciò prenda sapore, e servite ben calda”.
Trippa alla romana
- 1 k di trippa
- 2 fette di guanciale
- 400 g di pomodori pelati
- Una cipolla
- Una costa di sedano
- Una carota
- Uno spicchio di aglio
- Olio extravergine di oliva q.b.
- Menta romana
- Pecorino romano grattugiato
- Sale e pepe o peperoncino
La trippa si acquista normalmente già prelessata. Il metodo di lavaggio e di lessatura ne condiziona ovviamente il sapore. Per pulirla vengono usati a volte prodotti che la rendono bianchissima ma insapore; è preferibile acquistare quella grigia o scura e quindi non “candeggiata” o troppo cotta. Se possibile acquistate la trippa intera senza farvela affettare, sciacquatela e mettetela a bollire in abbondante acqua salata in ebollizione insieme a una carota affettata, una costa di sedano a pezzi, una cipolla e un mazzetto di prezzemolo. Fate riprendere l’ebollizione quindi abbassate la fiamma al minimo e proseguite la cottura per circa tre quarti d’ora. Lasciatela raffreddare e nel frattempo preparate un trito con il guanciale, la cipolla, la carota, il sedano, e lo spicchio d’aglio. Scaldate l’olio in un tegame di terracotta e fate appassire dolcemente il battuto mescolando spesso. Affettate la trippa a striscioline e versatela nel tegame quando il soffritto comincia a prendere colore. Fate insaporire per qualche minuto mescolando, quindi unite i pelati sminuzzati, salate e pepate e proseguite la cottura per circa un’ora. Durante questo tempo mescolate spesso e unite un mestolo di brodo o acqua calda quando necessario tenendo presente che alla fine la trippa deve essere immersa in un sugo abbondante. A cottura ultimata, versate la trippa nel piatto da portata e completate il piatto con abbondante pecorino grattugiato e foglioline di menta sminuzzate.
Riferimenti:
- Indro Neri, Troppa trippa, Neri Editore, Firenze 1998, 192 pagine
- http://www.troppatrippa.com/arte.php
- Claudio Colaiacomo, Roma perduta e dimenticata. 2013, 352 pagine: – Biblioteca Romana Newton n. 12
- Alfredo Morosetti, Frattaglie, Formato Kindle.
- http://www.identitagolose.it/sito/it/12/13206/ricette/il-nido-dellape.html
Stufatino cor sellero
Stufatino cor sellero, si dice a Roma, Stufato con il sedano, in italiano. Oggi Lazio Gourmand vi propone lo Stufatino cor sellero, un piatto della tradizione romana, che una volta era pressoché sempre presente nelle trattorie romane. Oggi non si trova quasi più. Un piatto da preparare in casa quando si ha un po’ più di tempo a disposizione, perché è una di quelle ricette che si preparano a fuoco lento, per almeno un paio di ore. E mentre lo prepari e cuoce piano piano… un profumo intenso invade la casa e riporta alla mente quelle domeniche mattine quando ti svegliavi col profumo del cappuccino mescolato a quello della “cucina di mamma” e che nelle giornate invernali ti scaldava l’anima e il cuore.
I più si staranno chiedendo: ma cosa è sto sellero? Semplicemente… il sedano!
- 600 g di muscolo di manzo (polpa di stinco)
- 1/2 cipolla
- 1 cucchiaio di olio extravergine di oliva
- 1 spicchio di aglio
- 1 cucchiaio di grasso di prosciutto più un altro cucchiaio grasso e magro
- maggiorana q.b.
- 2 cucchiai di salsa di pomodoro
- 1/2 bicchiere di vino rosso
- sale e pepe q.b.
- 300 g di coste di sedano
PREPARAZIONE
Per la preparazione ho seguito i suggerimenti di Ada Boni, omettendo però lo strutto e sostituendo il taglio a spezzatino anziché a fettine sottili.
- Tagliare la cipolla farla imbiondire con l’olio extravergine di oliva. Quando ha preso un bel colore aggiungere il grasso e magro di prosciutto tritato con l’aglio.
- Subito dopo mettere la carne, condire con sale e pepe e un po’ di maggiorana.
- Quando la carne è ben rosolata e ha preso un bel colore scuro, versare il vino rosso e poi lasciarlo evaporare.
- A questo punto unire i due cucchiai di salsa di pomodoro e tanta acqua quanta ne occorre per coprire la carne.
- Coprire e lasciar cuocere a fuoco lento per circa due ore, aggiungendo altra acqua se dovesse asciugarsi troppo.
A parte sfilettare, lavare e lessare i sedani e lasciarli insaporire una decina di minuti insieme alla salsa e alla carne.
Lo stesso procedimento si adotta sostituendo i cardi (noi li chiamiamo gobbi) ai sedani.
Un secondo ottimo, da gustare ben caldo. Una bella “scarpetta” non ce la toglie nessuno! Irresistibile!
Il pollo alla cacciatora, la ricetta popolare romana dei nostri nonni
Oggi Lazio Gourmand porta in tavola il pollo alla cacciatora. La ricetta scelta è legata visceralmente alla cucina romana. È il modo di cucinare “alla cacciatora” che noi romani seguiamo per preparare abbacchio, pollo, coniglio e spezzatino!
Petto di vitella alla fornara
Il petto di vitella alla fornara è uno dei piatti tipici, forse dimenticati, della cucina laziale. Quella cucina laziale povera, del popolino, essenziale, fatta con le parti meno nobili dell’animale.
Un piatto che richiede davvero pochissimi ingredienti e la cui unica attenzione va fatta sui tempi di cottura.
Quei pochissimi ingredienti, genuini ed il sapore della carne ne fanno un piatto davvero ottimo. La patate cotte nella stessa teglia sono la morte del petto di vitella alla fornara, anche se, diciamolo, ne aumenta l’apporto energetico.
Alla “fornara” perché pare “…ispirato alla “Fornarina”, tale Margherita Luti, la leggendaria donna, figlia di un fornaio di Trastevere, che Raffaello immortalò nelle sue pitture.
La storia racconta che una quarantina di patrioti romani superstiti dei motti insurrezionali iniziati nella capitale dello Stato Pontificio, il 25 ottobre 1867 stessero aspettando l’arrivo di Garibaldi per far insorgere Roma contro il governo di PIO IX. Riunito da giorni in un palazzotto di Trastevere, il gruppo era incoraggiato da Giuditta Tavani, giovane donna di 37 anni, madre di 4 figli con in grembo il 5° , figlia del proprietario del lanificio Ajani sede del ritrovo dei patrioti.
Quel 25 ottobre 1867, Giuditta Tavani, solita preparare i pranzi, cucinò proprio il petto di vitello alla fornara.
Oggi, in corrispondenza del palazzo che una volta era il lanificio Ajani, si erge il busto di Giuditta Tavani Arquati con una lapide a ricordo di quel tragico eccidio dei patrioti romani.
La ricetta del petto di vitella alla fornara
- 1 kg circa di punta di petto di vitello
- 2 o 3 spicchi d’aglio
- rosmarino
- salvia
- olio extra vergine di oliva
- 1/2 bicchiere circa di vino bianco secco
- sale, pepe q.b
- 1 kg di patate (facoltativo)
Preparazione :
- Preparate un battuto con gli aromi – io non ho battuto l’aglio, ma semplicemente diviso in parti ed inserito nelle intaccature della carne – unite l’olio extravergine di oliva, il sale ed il pepe. Ricoprite il pezzo di carne con la marinata e lasciate insaporire così per un’oretta.
- Trascorso il tempo trasferite la carne con tutta la marinata, in una teglia unta a filo con dell’olio extravergine di oliva.
Infornate a calore medio – 190° – per circa un’ora avendo cura di bagnare spesso la carne con il fondo di cottura e unendo verso la fine mezzo bicchiere di vino bianco secco.
Se decidete di unire le patate, una volta spellate, tagliatele a quadretti non troppo grossi e cuocetele insieme alla carne.
- A cottura ultimata servite il petto di vitella alla fornara a fette alte circa un dito, accompagnandolo con il sughetto.
Il “difficile” è tutto qui, nella giusta cottura: regolatevi in base al vostro forno, che solo voi conoscete.
Curate di tenere sempre “bagnato” il pezzo di carne. Alla fine deve risultare croccante fuori e morbido dentro.
CREMA DI ORTAGGI E GALLETTI
La Crema di ortaggi e galletti è un piatto in cui sono presenti oltre agli ortaggi, la frutta di stagione e i galletti, funghi molto diffusi nei boschi laziali.
La Crema di ortaggi e galletti non è un piatto tipico della tradizione laziale ma nella sua preparazione entrano il soffritto con il Guanciale Amatriciano PAT(prodotto Agroalimentare Tradizionale), ingrediente principe del “battuto” alla base di ogni saporita minestra della tradizione romana, e alcune eccellenze del Lazio.
I galletti, Cantarellus Cibarius la loro denominazione scientifica, nel Lazio vengono chiamati anche gallinacci, nel resto d’Italia sono più conosciuti come finferli. Bellissimi da vedere per il loro colore giallo oro o arancione accesso, sono ottimi da mangiare, molto apprezzati per la loro carne soda e compatta, leggermente fibrosa negli esemplari più grandi. I galletti crescono nei boschi del Lazio in particolare sotto ai castagni e alle querce e si possono trovare da inizio estate ad autunno inoltrato fino ad un’altitudine di 2.000 metri.
Ricordo che la classificazione dei funghi e la loro relativa commestibilità vanno affidate a personale specializzato degli enti sanitari competenti. Non bisogna consumare funghi se non si ha l’assoluta certezza della loro commestibilità.
La crema di ortaggi e galletti, semplice e veloce da preparare, concentra tutti i sapori dell’autunno e l’aggiunta del soffritto col guanciale la rende più saporita e ricca, ecco la ricetta.
CREMA DI ORTAGGI CON GALLETTI
Procedimento
- Lavare tutte le verdure e la frutta; sbucciare le patate, raschiare la carota. Ridurre tutto in dadolata, tenendo da parte 1/2 cipolla, mettere in una pentola, coprire d’acqua e portare a cottura a fuoco basso. Nel frattempo cuocere in padella 1/4 di cipolla con il guanciale tritato e unirlo a fine cottura. Frullare con il minipimer e passare al colino.
- Pulire con attenzione i galletti eliminando il terriccio che si può trovare nelle lamelle e nella parte superiore, lavarli velocemente sotto l’acqua corrente (non lasciarli mai a mollo!), asciugarli e tagliare per il lungo quelli più grandi. In una padella scaldare 2 cucchiai di olio, aggiungere l’aglio e la rimanebte cipolla tritata e farla appassire; aggiungere i funghi, spadellarli per qualche minuto e sfumare con poco vino bianco.
- Versare in una fondina due mestoli di crema, adagiarvi sopra i funghi, condire con un filo di olio extra vergine di oliva, guarnire con un rametto di rosmarino e servire caldo.