Territorio della Sabina (immagine internet)
“…La Sabina posta in mezzo a’ Latini ed agli Umbri, si estende verso i Monti Sannitici; ma più si accosta a quella parte degli Appennini, che sono presso i Vestini, i Peligni e i Marsi. …
Così, nel l secolo a.C. , Strabone descrive il territorio della Sabina.
In epoca romana corrispondeva al territorio abitato dagli antichi Sabini, si estendeva sulla sinistra del Tevere, fino a comprendere parte della provincia di Roma ed alcuni comuni di Terni e dell’Aquila.
Attualmente si riferisce ad un’area più piccola, identificabile con la provincia di Rieti.
“…Tutto poi il paese dei Sabini è abbondevolissimo di ulivi e viti, e produce anche molte ghiande; ed è vantato come a motivo di alcuni altri suoi animali, così principalmente per la razza di muli di Reate che sono in gran fama…in tutta quanta l’Italia crescono ottimamente i bestiami, benché alcune specie poi si trovino in qualche sua parte meglio che in un’ altra…”, continua Strabone.
Colline coperte di ulivi, boschi di querce e pascoli contraddistinguono ancora oggi questo territorio e ne caratterizzano la gastronomia. Un territorio costellato di castelli, monasteri e piccoli borghi medievali costruiti su alture facilmente difendibili, molti sono i paesi in cui compare la parola ”monte” o “poggio”.
La cucina sabina è ricca di cibo genuino e ricette valorizzate dai prodotti tipici e tradizionali più pregiati, offerti da una terra generosa e fertile.
Molti i prodotti di eccellenza a cui è stata attribuita la DOP come l’olio extra vergine d’oliva,” l’oro della Sabina”, insostituibile nella tradizione culinaria. Il medico d’origine greca Galeno lo considerava il migliore del mondo allora conosciuto e lo consigliava per le qualità terapeutiche. Dal colore giallo oro e dal sapore fruttato e aromatico, viene spremuto a freddo subito dopo la raccolta delle olive appena mature e ha un’acidità tendente allo zero. La testimonianza della vocazione millenaria nella produzione dell’olio è data dall’albero bimillenario di Canneto Sabino che si ipotizza, senza riscontri certi, che risalga all’epoca di Numa Pompilio.
La DOC è stata attribuita al vino Colli della Sabina, il nome riprende un bianco leggero e fresco molto apprezzato nella Roma antica, il Sabino. Ha la Doc nelle versioni bianco, rosso e rosato, fermo o mosso.
L’allevamento contribuisce ad arricchire l’offerta gastronomica locale con carni fresche, salumi e formaggi.
La certificazione IGP è attribuita al prosciutto Amatriciano, conosciuto fin dal 1300, un’eccellenza della salumeria italiana prodotta in ventidue comuni. Stagionato per un minimo di 12 mesi, si presenta con la fetta rosso roseo inframmezzata dal bianco del grasso di marezzatura, dal profumo dolce e intenso e dal gusto sapido ma non salato. Presidio Slow Food è la Mortadella di Campotosto, un salume di forma ovoidale, a grana fine, con al centro una lardello che corre per tutta la lunghezza. Una delle specialità più apprezzate è la famosa la porchetta di Poggio Bustone la cui aromatizzazione la rende unica e riconoscibile.
Da non dimenticare il Guanciale Amatriciano, PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale), condimento della famosa pasta all’amatriciana.
I formaggi genuini, come la terra da dove provengono, sono prodotti con latte di
bestiame allevato in montagna: freschi o stagionati, i più pregiati della produzione locale sono il pecorino, le caciotte e le ricotte.
La zona montuosa e collinare, con altezze e pendii, boschi con zone d’ombra e umide e prati soleggiati, è terreno ricco di funghi: porcini, finferli, chiamati in zona galletti, prataroli, russule e pregiati tartufi.
I meravigliosi boschi di castagni ci riservano anche una produzione castanicola, non indifferente per qualità, nelle zone montane di Antrodoco, Borgovelino e Micigliano. Troviamo anche una varietà di marrone di tutto rispetto, una castagna rossa di ottimo livello a Cicolano.
La terra, l’altitudine, le condizioni pedoclimatiche delle zone di coltivazione, ci garantiscono una qualità apprezzata e riconosciuta di cereali, legumi e patate, prodotti che trovano una spazio fondamentale nella cultura culinaria sabina.
Abbiamo qui in Sabina anche un gradito ritorno grazie al Molino del Cantaro: dopo 80 anni torna un grano denominato “Rieti 1″, uno dei grani simbolo del territorio reatino, nato agli inizi del 1900 grazie al lavoro di Nazzareno Strampelli, agronomo fondatore della moderna granicoltura. Il Rieti 1 è un grano antico ma ancora attuale per le sue caratteristiche, ricco di vitamine, resistente alla ruggine e povero di glutine.
Presidio SlowFood è la lenticchia di Rascino, dal seme piccolo e marrone, si coltiva senza l’uso di diserbanti, fertilizzanti chimici di sintesi e trattamenti antiparassitari.
Il prezioso Fagiolo Borbontino essiccato
Ciliegia Ravenna di Montelibretti
Tra i PAT troviamo il fagiolo Borbontino, gustoso, delicato e facilmente digeribile grazie alla buccia molto sottile, viene coltivato a mano in piccoli appezzamenti nel comune montano di Borbona; la patata di Leonessa, saporita e con la caratteristica di assorbire poca acqua in cottura; la ciliegia Ravenna della Sabina, dalla polpa rosa e dal gusto dolce, viene coltivata tra Palombara e Montelibretti.
Per la ricchezza di acqua lacustre e fluviale anche la cucina del pesce ha un ruolo importante, i gamberi di fiume, sempre più rari, fanno parte di della cucina sabina insieme alla trota reatina PAT, al persico reale e al coregone.
E proprio qui nella sabina abbiamo un’eccellenza che vanta due stelle Michelin il Ristorante “la Trota” di Rivodutri di Rieti come citano loro “in perfetta simbiosi il ristorante, il giardino il paesaggio fluviale“. Un posto incantevole dove la cucina utilizza i prodotti locali in una zona e una terra lontana dalla vita mondana e cittadina ma che segue le tradizioni e le origini con grande coraggio e professionalità.
Bucatini all’amatriciana, il piatto più classico e conosciuto in Italia
Tra i piatti da ricordare i ciufulitti sabini, i manfricoli di Cantalupo, i fusellati di Leonessa, i pizzicotti di Contigliano, gli gnocchi di castagne dell’antrodocano, gli gnocchetti di polenta e gli gnocchi ricci di Amatrice considerati il piatto più antico della tradizione amatriciana ma non il più conosciuto, titolo che spetta ai famosi bucatini all’amatriciana.
Preparazione della polenta
Poi abbiamo il fallone di Stimigliano, un rustico preparato secondo un’antica ricetta: a forma di calzone, fatto con pasta di pane, ripieno di erbe aromatiche condite con olio della Sabina e cotto nel forno a legna; farro al tartufo di Leonessa; fregnacce alla Sabinese, pasta fatta in casa, tagliata a rombi condita con spezie, olive nere, funghi, carciofini, aglio e pomodoro; sagne Scandrigliesi, strengozzi alla Reatina e molti altri.
Ricca la tradizione dolciaria e molti i prodotti della panetteria.
Qui potremmo scrivere un trattato tanto è varia questa tradizione che copre l’ intero anno con le feste tradizionali stagionali, le sagre e la vita di tutti giorni: pizza ricresciuta di Pasqua, castagnaccio, amaretti, ciambelline al vino, dolce di patate, fave dei morti, ferratelle, pani casarecci, panpepati, pangialli, pizze di ogni tipo, mitica è la pizza con gli sfrizzoli di maiale e così si potrebbe andare avanti ancora per molto…
preparazione pizza con la sugna
pizza con sugna e ciccioli
…Se il terremoto non avesse cancellato parte del territorio appena descritto.
Questa è la Sabina e oggi dobbiamo dire purtroppo, per le zone colpite, questa era la Sabina.
La scossa del 24 agosto ha raso al suolo posti di rara bellezza come Amatrice, senza dimenticare i tanti piccoli borghi e frazioni che circondano la zona e dove la scossa più forte del 30 ottobre, è stata il colpo di grazia.
Zone duramente compromesse con popolazioni detentrici di tradizioni profonde e tecniche di produzione di prodotti locali che si perdono nella notte dei tempi. Nel Centro Italia è racchiusa una importante fetta di prodotti agroalimentari nazionali di prima qualità, prodotti inimitabili e ricette della tradizione contadina e montanara, ancora realizzate con cotture di un tempo.
Tutto questo allo stato attuale è compromesso ed è a forte rischio di abbandono, la popolazione se ne va, sia per la perdita di ogni bene, ma anche per lo stress emotivo causato dalle continue scosse. Non si deve perdere tutto questo, non bisogna spegnere l’entusiasmo di chi ama questi territori, ha investito tutto e ha radici profonde che non vuol lasciare. Diamo voce e speranza a quei luoghi che hanno dato e insegnato tanto, nella certezza che tutto ciò continuerà a rappresentarci più di prima.